STORIA DELLA PIEDIGROTTA
Nella Napoli extra moenia, cioè fuori le mura di recinzione della città, i culti pagani si celebravano fin dal I secolo a.C. tanto che Petronio Arbitro nel suo Satyricon menziona dei baccanali, destinati a propiziare la fecondità che si celebravano in onore del dio Priapo, nei pressi della Crypta Neapolitana, una galleria scavata in epoca romana nella collina di Posillipo[2][3]. Il culto di Maria Vergine si diffuse in Campania nel III secolo d.C., poi nel VIII secolo si aggiunse quello di Maria Oditrigia, originario di Costantinopoli e della quale scrisse anche il Petrarca[5][6]. Contemporaneamente al culto dell'Itria, continuò per un lungo tempo anche il rito pagano nella galleria. Nel 1353 fu edificato il Santuario de pedi grotta, che divenne il centro della devozione del borgo marinaro e della sua festa, che fu fissata l'8 settembre, giorno della natività di Maria[8].
La vera data di inizio della festa si deve far risalire al 1487 quando il cronista Leostello accenna ad una festa di “Santa Maria della Grotta” e «tutti che vi accorrevano nella notte tra il 7 e l'8 settembre». Nel 1731 i pescatori del posto si organizzarono nella “Confraternita dei pescatori marinari di Chiaia” col compito di assistere alle processioni. La festa, alla quale partecipavano anche i reali ed i dignitari del regno, assunse dei contorni trionfali allorquando nel 1744 Carlo III decise di introdurre una parata militare per celebrare la vittoria di Velletri sui tedeschi, anche se alcuni ritengono che si svolgesse già prima, quando nel 1554 si volle spostare l'ingresso della chiesa verso la città e l'altare verso la collina.
L'accensione delle luminarie segna, tradizionalmente, l'inizio ufficiale dei festeggiamenti, tanto che era chiesto ai residenti di «addobbare i balconi e di illuminarli sul far della sera». Sebbene a Napoli vi fosse già un carnevale, che aveva luogo il 16 febbraio presso il Carmine (p.zza Mercato), Carlo III, tuttavia, decise di mutarne modi e tempi direttamente nella festa di Piedigrotta, ritenuta più sicura e più spaziosa. Ereditata dal carnevale fu la consueta “abbuffata” pomeridiana che poteva vantare di un vero e proprio menù tipico rappresentato da parmigiana di melanzane, “ruoti di petticciulli” al forno, “ruoti di capezzelle”, polli arrostiti e, per i più umili, “l'appesa” di frutta con uva, mele cotogne, granate e fichi d'India. Correlato all'evento era diffusa la pratica dei “maritaggi” nei quali venti fanciulle di umili origini, le zite, erano sorteggiate per sfilare sui carri allegorici fino al Palazzo Reale dove ricevevano una dote dal sovrano. I carri, le quali spese di mantenimento ricadevano sulle Corporazioni di Arti e Mestieri, ritraevano personaggi della storia e della tradizione napoletana quali Masaniello, la Sirena, il Sarracino, Pulcinella, San Gennaro, etc.. Ogni carro, preceduto dalla “banda di suonatori di flauto di Materdei”, doveva soffermarsi presso il palco dei reali, allestito in piazza San Ferdinando (oggi piazza Plebiscito) per l'”inchino” di rito, dopodiché il popolo si lanciava nel consueto “saccheggio” del carro che si concludeva quasi sempre con la totale distruzione del medesimo. I festeggiamenti duravano circa una settimana (eccetto l'edizione del 1802 quando, per l'Incoronazione, durarono tre settimane), durante la quale si tenevano messe quotidiane e proseguivano gli eventi programmati dal Comitato organizzativo, compresa la processione della Madonna, fino all'ultimo giorno che ricadeva di sabato.
L'8 settembre 1859 si svolse l'ultima parata dei Borbone con 47 battaglioni, 33 squadre d'assalto e 64 pezzi d'artiglieria alle quali seguirono le cannonate dai cinque castelli cittadini. La censura era garantita da speciali agenti in borghese, i feroci, pronti ad intervenire qualora qualche canzone o discorso improvvisato potesse offendere il re o le istituzioni. Nel 1888 fu introdotta la sfilata in carrozza, mentre l'edizione del 1902 fu la prima con le lampade a corrente elettrica . Nel 1906 il “Comitato del Museo” composto da intellettuali, artisti ed industriali decise di introdurre le “cavalcate” che consistevano nella rievocazione di episodi storici connessi con le imprese di un personaggio di rilievo tra i quali si contavano anche “I cavalieri della Lega Lombarda”. Durante il Fascismo fu introdotto il “Corteo delle opere liriche” che vedeva autori celebri del melodramma italiano sfilare sui carri sulle note dell'Aida. Nel 1935 l'organizzazione fu affidata all'Opera Nazionale Dopolavoro che aggiunse in programma una nutrita serie di concorsi: fotografico la quale prima edizione fu vinta dal futurista Giulio Parisio, cinematografico, vetrine addobbate, dei posteggiatori, dei ristoratori, dell'uva. Nel 1937 si svolsero a Napoli, in concomitanza con l'evento, la quarta edizione dei “Littorali della cultura e dell'arte”, manifestazione ginnica che vedeva giovani sfidarsi nelle principali competizioni sportive.
Nel 1952 si decise di organizzare contemporaneamente il Festival della Canzone Napoletana che si svolse fino agli anni settanta e la quale organizzazione fu affidata prima al “Comitato delle feste di Napoli” e poi, nel 1962, all'Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo (AAST). Tale passaggio non fu privo di conseguenze. Mentre il “Comitato” era costituito in prevalenza da soggetti privati, nel secondo questi mancavano del tutto con ricadute gravi sui finanziamenti che, essendo esclusivamente pubblici, si ridussero sempre di più, determinando il declino della festa . Poco servirono le nuove attrazioni della “Gara dei gozzi” a Mergellina nel 1964 e il concorso dei “Vestitini di carta”.
Il 10 settembre 1983, però, su iniziativa di Benedetto Casillo, destò sorpresa la “Serenata alla Madonna” che consisteva in una rappresentazione teatrale suddivisa in tre atti: “Napoli more” in cui si denunciavano i problemi della città e l'indifferenza delle istituzioni, “A valigia e cartone” in cui trasaliva il grido di dolore degli emigranti partenopei costretti a fuggire per la penuria di lavoro, infine, “Santa Lucia luntana” dove si recitava l'omaggio dei pescatori alla Madonna dopo le fatiche quotidiane. Dopo la fine del Festival di Napoli iniziò il declino della “Piedigrotta”, che fu sospesa nel 1982. Nel 1983, infatti, l'amministrazione municipale decise di convogliare i finanziamenti verso i terremotati, la sfilata dei carri fu comunque garantita dall'associazione “Napoli Nostra” anche per i due anni seguenti.
Festival della Canzone napoletana
Secondo Svetonio, lo stesso Nerone quando soggiornò a Napoli fece sosta a Piedigrotta per esibire il suo canto di fronte alla cittadinanza, già considerata a quei tempi altamente intenditrice delle arti musicali. Come in ogni manifestazione popolare il canto era sempre stato parte importante della festa, anche dal punto di vista competitivo. Il popolo di cantori si riuniva in vico Venti in Santa Maria degli Angeli almeno un mese prima dell'inizio dei festeggiamenti per proporre il soggetto delle canzoni da portare alla festa, si tratta dello stile a' ffigliola che consiste «in un solista che intona il testo ed il coro che segue a cappella»; questo stile di canto non è però da confondere con la voce è Napule dei venditori ambulanti e con i strambiotti o le villanelle delle massaie.
La Piedigrotta musicale fu ufficialmente inaugurata l'8 settembre del 1835, con il trionfo di Te voglio bene assaje in un'atmosfera variopinta di suoni. Oltre all'ascolto delle canzoni in gara, la manifestazione dava ampio spazio a tarantelle e macchiette basate su strumenti tradizionali, come putipù, triccheballacche, nacchere oppure su quelli denominati “'e scucciamienti” utilizzati per rumoreggiare accanitamente. Nella seconda metà del XIX secolo il fenomeno si accentuò sempre di più, tanto che, per la stesura di spartiti e testi, numerosi editori stampavano migliaia di fogli e, inoltre, c'erano gli incisori per le copertine e le immagini correlate al testo (nel 1889 ce ne furono più di tremila), il cui successo era sancito - prima della radio e della televisione - dalla loro circolazione popolare e dal numero di spartiti venduti dalle maggiori case editrici dell'epoca (La Canzonetta, Epifani, Bottega dei Quattro, Gennarelli, ecc.). In tale occasione nacque la canzone classica napoletana, avendo tra i suoi più famosi parolieri e musicisti della città quali, ad es., Salvatore Di Giacomo, Libero Bovio, Raffaele Sacco e tanti altri ancora. All'inizio del XX secolo l'influenza della case discografiche era tale che l'audizione degli aspiranti concorrenti avveniva presso i teatri cittadini, mentre l'esecuzione delle canzoni, che tradizionalmente si erano sempre svolte nel recinto all'ingresso della Crypta, furono spostate prima in p.zza Principe Umberto e poi nell'arena dell'ex Velodromo in viale Elena (oggi via Gramsci). Nel 1926 iniziarono le prime trasmissioni radiofoniche del festival, mentre nel 1937 fu allestita la “Mostra della canzone”.